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SIMBIOSI FOTOPLASTICA

Con la mostra di Ornella Rovera, la seconda edizione della rassegna carrarese “Scultura in Comune” giunge alla sua ultima tappa. È significativo, tuttavia, che a chiudere il cerchio sia un’artista, la cui operatività infrange ed estende i limiti della nozione convenzionale di Scultura, per farne indistinto codice totalizzante di un pensare attraverso i materiali, le forme, i colori e lo spazio. Significativo perché tale concezione operativa risponde ad uno degli assunti forse più emblematici del secolo agli sgoccioli: la presa di coscienza della labilità di ogni predeterminazione sistematica dei canali linguistici nei quali far confluire gli impulsi dell'espressività artistica. E, di conseguenza, l’assunzione del plurilinguismo come concreta realtà nuova, nella quale soddisfare le urgenze spirituali di una sensibilità che si scopre in perenne trasformazione.

Ornella Rovera, ad esempio, la scultura la fa con la fotografia, applicando inserti fotografici ad oggetti altri. Due realtà ontologiche, per certi versi apparentemente agli antipodi, ovvero la stasi plastica dell’oggetto inserito nell’ambiente o l’istantaneità ibernata nello scatto della foto, trovano, così, una inaspettata sintesi nella poetica dell’artista piemontese. Il fatto è che, in fondo, la fotografia, a ben guardare, “sculturizza” ciò che essa iconicamente riproduce, perché è forma di reificazione visiva di quanto scorre, vive e muta sotto i nostri occhi. Si può dire che la fotografia “scolpisce” nella nostra coscienza l’apparenza delle cose, trasmutandola in immagini. L’esistente si rivela a noi come visto per la prima volta e s’impone come presenza che scava spazi mentali come la scultura lo fa con quelli fisici. È per questo che le fotosculture della Rovera camminano con due gambe, ma per poi sorreggere un corpo solo. Non c’è soluzione di continuità, infatti, tra i particolari fotografici prescelti e i materiali con cui questi entrano in combinazione, che possono essere ceramica, plexiglas, resine o metalli. Fotografia, dunque, come materiale tra i materiali, in una commistione di allusa bidimensionalità e oggettiva tridimensionalità, destinata a suggerire l’essenza adimensionale del sogno o della fantasia. Non a caso l’artista, parlando delle proprie opere, spiega di voler “creare entità nuove”. Entità ignote si potrebbe aggiungere, fino al momento del compimento definitivo dell’opera. Ignote alla stessa artista che assiste, come spettatrice di se stessa, al determinarsi del proprio fare. È per questo che, come si diceva all’inizio, non solo scultoreo, nell’accezione storicamente acquisita, può limitarsi ad essere l’alveo linguistico di concretizzazione degli impulsi creativi. E non poteva essere che così dopo le asserzioni di Umberto Boccioni, contenute nel suo Manifesto tecnico della scultura futurista del 1912, secondo cui “anche venti materie diverse possono concorrere in una sola opera allo scopo dell'emozione plastica”, materie che, secondo il futurista, potevano essere “vetro, legno, cartone, ferro, cemento, crine, cuoio, stoffa, specchi, luce elettrica, ecc. ecc.” Le conseguenze scaturite, in termini di prodotti e filoni artistici, dalle affermazioni boccioniane (e non, come si suol ritenere, dalle realizzazioni picassiane), sono a tutti note, hanno segnato il secolo e sono giunte fino a noi, fino alle fotosculture di Ornella Rovera. È questo il motivo, tornando ancora a quanto già scritto, che ci ha indotto a definire significativa la chiusura dell'attuale rassegna scultorea con opere che testimoniano della trasformata accezione di tale branca dell’espressività. “Scultura in comune n2”, concludendosi, attracca al porto di una terraferma ancora oggi in gran parte da esplorare.

Guglielmo Gigliotti